mercoledì 23 dicembre 2015

5.01, 5.02 La manutenibilità nell'Odissea

 Omero, nel Canto XIII dell’Odissea, così racconta:
 «Si apre la piazza, circondata da massi di pietra conficcati per terra: là preparano le attrezzature alle navi, le vele, i cordami, e piallano i remi. Perché i Feaci non amano arco e faretra, ma alberi di navi e remi e navi perfette con le quali, fieri percorrono il mare bianco di schiuma»

Spiegazione e commento:

Si parla di Ulisse, e della sua nave che gli consentì di percorrere per oltre dieci anni il lungo itinerario per fare ritorno in patria.
 Non era la nave il pericolo per Ulisse, il quale sapeva bene come fosse stata preliminarmente resa «sicura» dagli interventi degli addetti ai lavori.
L’efficienza di quelle navi era, dunque, il prodotto di un lavoro compiuto ex ante, in cantiere, frutto di un nobile artigianato che inglobava nell’opera il concetto di manutenzione, rendendola di fatto intrinseca rispetto agli usuali interventi operativi, la manutenzione è dunque arte antica; ma nelle premesse storiche si presenta sempre come implicita nel lavoro da compiere sulle navi per renderle affidabili e sicure, cioè adatte ad affrontare i pericoli del mare, le incognite del viaggio. Si è così perseguito sempre, anche automaticamente, quel concetto di qualità che della manutenzione costituisce un naturale corollario e comunque l’obiettivo da perseguire costantemente. Difatti, manutenzione e qualità intesi come elementi impliciti nell’arte del conservare l’efficienza e l’affidabilità nelle imbarcazioni impegnate sul mare spumeggiante, ma sempre pericoloso, è una costante nella storia della navigazione

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